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Intervista a Patrizia Di Gregorio

Intervista a Patrizia Di  Gregorio

Patrizia Di Gregorio ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’ Università

“G. DAnnunzio” di Chieti. E’ Specialista in Ematologia Clinica e di Laboratorio, Igiene,

Malattie Infettive e Criminologia Clinica e Psichiatria Forense. Attualmente Direttore di Unità Operativa Complessa Medicina Trasfusionale e D.H. Ematologico,Centro FCSA n. 301 Centro Emofilia AICE n. 52.

Ha collaborato attivamente con associazioni di volontariato ed in particolare con quelle impegnate nella donazione del sangue.

Nello svolgere la propria attività professionale di medicina trasfusionale ha maturato esperienza nella gestione informatica e nell’utilizzo delle apparecchiature analitiche e trasfusionali oltre che svolgere attività clinica in campo ematologico specie in quello emocoagulativo. Ha studiato pianoforte ed è appassionata di pittura soprattutto impressionista dilettandosi nell’esecuzione su tela ad olio nelle varie tecniche.

Particolarmente portata nelle relazioni umane nell’ambito della comunicazione, anche in virtù del diploma di specializzazione in psichiatria forense approfondito con analisi di tipo comportamentista.

Ci può presentare sinteticamente il Servizio di Medicina trasfusionale?

Devo dire che purtroppo, nell’immaginario collettivo e, ribadisco purtroppo, anche in quello di molti operatori sanitari il Servizio di Medicina Trasfusionale viene visto, talora, come una specie di laboratorio analisi, altre volte invece come un luogo di raccolta ed imbottigliamento del sangue. lo credo che sia importante far comprendere alle persone che il Servizio di Medicina Trasfusionale è una struttura specialistica in cui, oltre a

raccogliere ed analizzare il sangue da trasfondere, si curano ed assistono i pazienti, si fanno diagnosi complesse, si esercita la medicina preventiva e si vagliano le richieste di trasfusioni di sangue o emoderivati (es. albumina) promuovendone l’utilizzo ottimale secondo linee guida nazionali ed internazionali. Da non sottovalutare in fine il ruolo di osservatorio privilegiato della salute pubblica per il grande afflusso di donatori che vengono anche educati ed informati affinché adottino sane abitudini di vita. Nel corso degli anni, quindi abbiamo potuto seguire ed assistere migliaia di pazienti, accogliere numerosissimi donatori. Non dobbiamo infine dimenticare le prestazioni erogate in emergenza e le numerose vite salvate grazie alle nostre trasfusioni effettuate sempre e comunque previa nostra consulenza e spesso direttamente presso il nostro servizio.

E’ importante sottolineare questi aspetti perché, senza alcuna enfasi posso affermare che  molte volte i nostri amministratori dimenticano che il Servizio trasfusionale ha un’importanza strategica nella vita e nell’organizzazione delle attività ospedaliere, oltre che in quelle territoriali.

Spesso le nostre amministrazioni dedicano le loro attenzioni e sostengono, anche finanziariamente le branche chirurgiche. So bene quanto faccia effetto sentir dire che è arrivato il grande chirurgo ma senza il supporto trasfusionale non può esserci chirurgia di alta complessità. Per non dimenticare, poi, tutta la medicina internistica ed in particolare l’oncologia che senza il supporto trasfusionale non potrebbe esistere.

La conseguenza è che spesso, e non solo da noi, si inaugurano in pompa magna nuovi reparti chirurgici senza potenziare i servizi trasfusionali che sono costretti ad operare sempre in affanno.

Ricordo che la medicina trasfusionale, inoltre, può essere solo pubblica ed è quindi insostituibile. Mentre gli altri servizi diagnostici (es. radiologia o laboratorio analisi) possono, in linea teorica essere dati anche in outsourcing, il servizio trasfusionale rappresenta un esclusività del servizio sanitario nazionale tanto che anche le case di cura private possono ricevere il sangue solo ed esclusivamente dai servizi trasfusionali pubblici.

Credo che sia ora che i nostri amministratori si rendano conto che potenziare le attività chirurgiche senza potenziare il servizio trasfusionale è come fare un palazzo senza fondamenta.

 

ln qualità di direttore del Servizio di Medicina Trasfusionale della Asl LancianoVasto-Chieti, potrebbe descrivere qual è il suo rapporto con il contesto in cui svolge il suo lavoro?

Per non dilungarmi troppo, Le narro solo di quel che più mi gratifica: la parte clinica dell’immunoematologia, l’ambulatorio di ematologia, l’emostasi e trombosi, la medicina rigenerativa. Sono queste le attività che mi permettono di interloquire con le altre Unità Operative del Policlinico e del territorio e con le sale operatorie. Ho abbracciato con grande convinzione, anche per il motivo di cui sopra, il “lavoro in team”. L’insegnamento è parte del mio cuore: crescere insieme alle nuove generazioni ha le sue grandi attrattive con punti di luce, ma anche profonde oscurità

La Medicina Trasfusionale, come lei ha precisato, è una branca della Medicina che si occupa di tante attività. Qual è tra queste quella che predilige di più e che in questi anni ha approfondito maggiormente?

Ho amato da subito la coagulazione, da quando si usavano solo metodi manuali perché non esistevano ancora le apparecchiature automatiche ed ho subito avuto un gran feeling con i pazienti. Sono sempre riuscita a stabilire rapporti tali da diventare spesso la confidente dei più: carino da un lato, forse troppo impegnativo dall’altro! I miei colleghi hanno ribattezzato la mia stanza “confessionale”: evidentemente l’arte della maieutica mi riesce naturale con qualche correttivo scaturito da appositi studi!

Donna e Direttore, qual è il suo rapporto con i collaboratori?

Ora ottimo. Si vive in una sorta di pax sociale in cui ciascuno ha il suo ruolo. Siamo in pochi e non si ha molto tempo per farsi del male reciproco! Ho vissuto, nel passato, anche momenti difficili nei quali sono stata costretta a mandar via qualche personaggio che non riusciva ad integrarsi. Ora riusciamo anche a divertirci insieme nel reciproco rispetto, lavorando con dedizione e spirito di servizio.

Quale la sfida più impegnativa che ha affrontato?

Rimanere al mio posto quando, ad appena 34 anni, donna, sono rimasta “orfana” di Primario ed Aiuto in un ambiente universitario, pieno di direttori di cattedre e di scuole di specializzazione ben più anziani di me, soprattutto uomini. Confesso che in quel periodo, assolutamente inesperta nell’affrontare gare e comunque attività di management, con la sola collaborazione di un’unica collega, assistente come me, la notte piangevo studiando ed il giorno mi rivestivo di carattere e cercavo di andare a testa alta. Il direttore sanitario mi diceva sempre “se vuoi essere un leader impara a metabolizzare le negatività e le cattiverie che ti vengono fatte”. Sono sopravvissuta!

ln quale occasione ha ritenuto che la condivisione fosse l’unica arma a sua disposizione per ottenere un importante risultato?

Nel momento in cui sono rimasta da sola con una collega: giocoforza dovevo quanto meno con lei condividere ogni decisione. Da allora ho compreso ed ho mantenuto fede a questo assunto che la condivisione è un’arma importante per coinvolgere il personale e ti permette, avendone acquisito la fiducia e la stima, anche di poter derogare da tale paradigma qualora sia necessario assumere decisioni in solitudine.

Lo scorso anno le è stato conferito il Premio Simpatia “Montis Silvani”, un’attestazione di stima diversa da quelle ricevute in ambito professionale. Ci racconta di questa premiazione ?

Il premio in questione viene conferito agli abruzzesi che si sono distinti nell’ambito delle proprie attività e per l’indice di gradimento espresso dal pubblico. Serata simpatica insieme con cabarettisti, cantanti ed attori. Cosa di meglio?

 

Redazione

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