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Intervista a Henry Kolt, autore del romanzo Tutto come (im)previsto. La scatola delle Ex.

Henry Kolt, nome d’arte, è un esperto di finanziamenti europei e project manager; ha inoltre un passato di ricercatore sociale, giornalista e divulgatore scientifico. Negli anni ha svolto collaborazione giornalistica con testate di informazione, locali e nazionali. Dal 2018 si è ritirato dal lavoro per dedicarsi interamente alla scrittura. Pubblica nel 2019 in self-publishing il suo primo romanzo, “Tutto come (im)previsto. La scatola delle Ex”, disponibile anche in audiolibro.

Di cosa parla il tuo romanzo Tutto come (im)previsto. La scatola delle Ex?

Il romanzo è la storia di un giovane studente che si confronta con le prime esperienze affettive. L’espediente è il ritrovamento di vecchie lettere dimenticate che il protagonista aveva ricevuto negli anni della sua gioventù da diverse ragazze. La storia si colloca negli anni Settanta del secolo scorso, ma le vicende vengono ricordate dallo stesso protagonista diventato adulto.  Ed è proprio la condizione adulta che fa porre la domanda centrale, ispiratrice di tutto il romanzo, che si incontra sin dall’incipit: «Come avremmo reagito, cosa avremmo pensato, quali scelte avremmo fatto se la vita, o noi, un certo giorno, avessimo pensato o fatto una piccola cosa in modo diverso da come essa è stata pensata o fatta?»

A volte un uomo arriva ad una tappa importante della propria vita dove sente il bisogno di produrre una sorta di bilancio dei propri successi e insuccessi.  Il tuo libro risente di questa fase?

Più che un bilancio è una lunga riflessione che non può essere disgiunta dai ricordi.  Ci sono molte cose che fanno parte di una vita, ma nel mio romanzo viene affrontato il percorso di maturazione sentimentale, determinato da un insieme di incontri, persone, sfide, difficoltà, gioie, delusioni, rinascite, il tutto mediato dal tempo che passa. Se vogliamo il convitato di pietra è proprio questa cosa: il tempo, che non consente di tonare indietro, cosa che invece riesce a fare la memoria. Quanto al successo appare evidente che per il protagonista questa dimensione ha una valenza interiore. Il successo è essere riuscito a raggiungere obiettivi semplici, come crearsi una famiglia, avere dei figli e, anche, coltivare uno spazio intimo all’interno di se stesso che nessuno potrà mai violare. 

Mi ha molto colpito la presenza di così tanti personaggi femminili. Vuoi dirci qualcosa a tal riguardo?

Mah, il libro si apre mettendo in evidenza le difficoltà del protagonista nei suoi approcci con l’altro sesso. E questo a causa di circostanze molto banali, come ad esempio alcuni connotati caratteriali che portano il protagonista a isolarsi. O anche il tipo di educazione religiosa ricevuta. Questa prima parte è molto importante per cogliere le trasformazioni del protagonista che troverà nell’altro sesso anche la chiave per potersi esprimere. Il romanzo anticipa un aspetto molto più moderno, quello della friendzone ante litteram in cui amicizia, amore, sesso possono costituire un insieme inestricabile di modalità affettive. Sembra quasi che il protagonista ad un certo punto della sua esistenza riesca a trovare ascolto soprattutto dalle donne, le sole disposte a prendersi cura di lui e a comprenderlo. Per questo nel libro ce ne sono tante, alcune molto importanti, altre meno, quasi comparse, che comunque il protagonista conserva gelosamente fra i suoi ricordi.

Quanto c’è di autobiografico in questo esordio letterario?

Beh… molto, sì, c’è molto. Tuttavia, non è rilevante la veridicità o meno delle scene. Ciò che fa parte del vissuto del protagonista riguarda la sua trasformazione, i contesti sociali, alcuni personaggi, soprattutto le figure di Viola e Alice che hanno determinato il rapido mutamento nella psicologia di chi racconta. In particolare, Alice è la figura dominante, la donna senza la quale molto probabilmente il romanzo non avrebbe visto la luce. È vero l’approccio del protagonista nei confronti della politica di quegli anni che solitamente vengono raccontati come se il vissuto delle persone non debba avere una sua rilevanza. Il protagonista sembra ribaltare la prospettiva. I fatti così eclatanti che hanno segnato quel periodo esistono, ma passano in sottofondo, in background diremmo con linguaggio moderno.

Come mai ha scelto di abbinare un audio libro al testo? In generale ti reputi un consumatore feroce di audio libri?

Mi piace ascoltare quando guido. Ho scoperto che ascoltare è molto rilassante e questo può addirittura modificare la percezione di un testo. Gli può dare un qualcosa in più, forse mette in risalto la genuinità. Quanto al mio romanzo l’idea di produrre anche la versione audio è sorta dopo aver ascoltato la mia lettrice Alice Salvoldi nel corso di un musical in cui lei raccontava parti della storia oggetto dello spettacolo, in particolare la vita di Josephine Baker. Posso dire che il suo modo di raccontare, di leggere mi aveva incantato al primo ascolto. Così le feci la proposta di incidere l’audiolibro, una cosa che lei non aveva mai fatto. Sono molto soddisfatto del risultato. Va anche detto che non tutti i testi secondo me sono adatti ad essere ascoltati, esistono romanzi che per la loro complessità particolare danno il meglio di sé nella lettura. Per quanto riguarda il mio romanzo trovo che vada bene in entrambe le modalità. Un audiolibro può anche fare compagnia.

Quali sono i principali autori (classici o moderni) che hanno aiutato a formare il tuo stile compositivo?

Non penso di ispirarmi ad autori particolari fra i classici, sono attratto soprattutto da alcuni autori moderni per quanto riguarda l’innovazione degli stili narrativi. Pertanto, mi verrebbe da citare Saramago così come Jonathan Safran Foer, ma anche Natalia Ginzburg per quel suo modo di raccontare la normalità della vita e infine Murakami Haruki. Credo proprio che lo scrittore giapponese sia quello che più mi abbia convinto, nel senso che leggendolo mi sono chiesto: ma perché non scrivere un romanzo? Pertanto, si può immaginare che io sia attratto dall’introspezione e anche dal fantastico o dal surreale. Nel mio romanzo di introspezione ce n’è molta, un tratto forse più comune a scrittrici donne, come qualcuno mi ha fatto osservare. Ma è anche presente la componente onirica, anch’essa importante che completa una memoria spesso sbiadita e imprecisa nonostante la sua forte plausibilità.

Sai, gli scrittori di oggi sono molto divisi sulla prossima domanda che sto per farti. Consigli di associare della musica alla lettura di Tutto come (im)previsto? Se sì, che tipo di sottofondo musicale consigli?

Senz’altro quello via via citato nel corso della narrazione. Il mio protagonista è molto attratto dalla musica, dal pop, dai Beatles per esempio, viene citato l’album Abbey Road, o dalle numerose band progressive che nei primi anni Settanta spopolavano. Pertanto, che so, un buon sottofondo potrebbero farlo i Beatles o i Jethro Tull, ma anche gruppi tipo Genesis, Pink Floyd. Ma la colonna sonora spazia anche nel classico: penso alle Quattro stagioni di Vivaldi che potrebbe essere un buon sottofondo nel caso delle scene con Viola oppure al Requiem di Mozart e soprattutto Chopin se devo pensare ad Alice. Insomma, il libro si presta a essere utilizzato un po’ come un juke-box letterario.

A chi consigli di leggere la tua opera, e perché?

Sono tanti i gruppi target, chiamiamoli così, che potrebbero apprezzare il mio libro. Innanzitutto, i giovani teenagers attuali, i giovani ventenni che degli anni Settanta e di come vivevano quelli che oggi sono i loro nonni non conoscono molto. Poi metterei i miei coetanei, i cosiddetti baby boomer, quell’insieme di persone che hanno vissuto da primi attori l’epoca della contestazione, del Sessantotto e degli anni di piombo. Penso che il libro offra occasione di riflettere su quel periodo, sul modo di vivere l’amicizia, dello stare insieme, su come le persone si sono innamorate. Non penso che la mia esperienza sia particolarmente rivelatrice, ma è una esperienza. Infine, ci metterei tutte le persone curiose e interessate a generi letterari diversi. In definitiva nel mio libro ci sono aspetti romance, cose che riguardano il romanzo di formazione, l’aspetto religioso e quello della contestazione, un connubio di generi che raramente ha occasione di trovarsi assieme.

Cosa hai pensato e cosa hai fatto quando hai terminato di scrivere questo libro?

Mi sono meravigliato. Si trattava di un esordio, un’idea che dalla mia mente aveva preso sostanza e si era realizzata. Quasi non credevo ai miei occhi. La prima cosa che ho fatto era capire se il romanzo poteva essere pubblicato e l’incontro con Alice, che nel racconto viene narrato, è una cosa vera. Avevo bisogno del suo riscontro, del suo parere, della sua approvazione.  Ma ancor prima avevo bisogno del riscontro di mia moglie, che nel libro viene raccontata solo alla fine. Lei fu molto impressionata dal mio romanzo e mi spronò a passare alla pubblicazione. La scelta di pubblicare in self è stata dettata da una forma di gelosia. In definitiva per me era più importante aver scritto che pubblicare, e non volevo separarmi dalla mia “creatura”, anche se ritengo che il libro possa essere apprezzato dal pubblico.

 

Contatti

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Redazione

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